Nel composito tessuto dell’attuale società della conoscenza, l’istituzione universitaria si posiziona tra i più potenti interpreti e vettori sia per il concreto conseguimento di un progresso culturale globale, sia per l’effettivo raggiungimento di una crescita economica sostenibile. In linea con l’urgente pressione esercitata da numerose istanze di innovazione e rinnovamento, le tradizionali funzioni di didattica e ricerca del mondo accademico hanno proceduto a un’ampia articolazione e si sono definitivamente estese a quel fecondo insieme di attività e progettualità che, sotto la dizione di Terza missione, presiede l’importante intento di tradurre l’intelligenza teoretica e tecnologica maturata nell’ambito universitario in formulazioni adatte allo sviluppo della compagine civile e del complesso imprenditoriale. Mediante la Terza missione, dunque, l’Alta Formazione da una parte sostiene la valorizzazione della conoscenza e della tecnologia generate internamente, dall’altra si impegna a declinare il sapere così tesaurizzato nei modi più opportuni per coadiuvare la crescita sociale, culturale ed economica anche all’esterno dei propri confini.
L’opera di valorizzazione e trasferimento tecnologico svolta dalle università può esplicitarsi – in misura non esclusiva ma indubbiamente incisiva – attraverso la costituzione di spin-off, vale a dire imprese operanti in settori prevalentemente high-tech costituite da (almeno) un professore/ricercatore universitario o da un dottorando/contrattista/studente che abbia effettuato attività di ricerca pluriennale su un determinato tema, il quale diverrà l’oggetto di creazione dell’impresa stessa. Letteralmente, gli spin-off universitari sono imprese che gemmano da un’università; specificamente, nascono quando un gruppo di ricercatori si organizza in un’unità imprenditoriale con l’obiettivo di ottimizzare le competenze e i risultati provenienti dalle elaborazioni e dagli studi condotti all’interno dell’istituzione. Concretamente, tali fattispecie di impresa promuovono, attivano e alimentano tanto i processi di trasferimento tecnologico pubblico-privato, quanto i processi di innovazione industriale. Fattivamente, si configurano come le entità più dotate e convenienti per ideare e sperimentare i percorsi innovativi che emergono dall’applicazione diretta di tecnologie e conoscenze scientifiche. Queste ultime non devono necessariamente coincidere con quelle sviluppate in proprio, ma possono anche comprendere prodotti di ricerca provenienti dall’esterno e “incubati” internamente per consolidare la delicata fase di start-up e instaurare network relazionali ad ampio raggio con il tessuto imprenditoriale. In definitiva, le imprese spin-off, oltre a presentarsi tra i più talentuosi attori dell’attuale paradigma dell’Open Innovation, forniscono i più promettenti strumenti per dare espressione a forme ancora inedite di imprenditorialità innovativa.

In Italia, quello degli spin-off universitari è un fenomeno in rapida espansione e, non diversamente da quanto rilevabile nel restante panorama europeo, negli ultimi anni ha conosciuto un’ulteriore accelerazione: delle 1.102 imprese operative al 31 dicembre 2013, l’87,4% è stato impiantato dopo il 2003 (fonte: Netval, 2014). All’elevato tasso di costituzione deve aggiungersi quello altrettanto notevole della sopravvivenza, un’evidenza particolarmente utile per correggere in senso migliorativo le potenziali prospettive di sviluppo degli spin-off universitari. Va tuttavia segnalato che dal punto di vista della localizzazione geografica queste giovani realtà imprenditoriali non sono distribuite omogeneamente. L’istituzione di nuovi spin-off è maggiormente marcata in quei contesti – in primo luogo le regioni centro-settentrionali (49,3% nel Nord e 27% nel Centro) – dove la sperimentazione e lo sviluppo di tali tipologie di impresa sono stati cronologicamente precedenti. Che in Italia gli spin-off universitari rappresentino una realtà relativamente recente – soprattutto per il Centro-Sud – è anche testimoniato dal dato relativo all’età media di costituzione degli stessi, pari a circa 5 anni di vita. La rilevazione conferma l’osservazione esposta in precedenza in relazione alla recente e rapida diffusione delle imprese. Con riferimento ai principali settori di imprenditorialità economica, è stato messo in evidenza che, benché la maggior parte degli spin-off (26,8%) operi nel campo delle ICT, negli ultimi anni è andato ad accrescersi il peso delle imprese attive negli ambiti dei servizi per l’innovazione (17,2%), dell’energia e dell’ambiente (16,3%) e delle life sciences (15,8%). Il dato risulta suggestivo del forte orientamento degli spin-off universitari verso l’innovatività e l’high-tech (fonte: Netval, 2014).
Al fine di consentire una comprensione più approfondita delle dinamiche che governano lo sviluppo e la crescita degli spin-off universitari in Italia, si ritiene opportuno riportare la sintesi dei risultati di uno studio condotto su un campione di 405 imprese estratto dalla banca dati Netval (al 31 dicembre 2013). La ricerca era finalizzata a verificare se le caratteristiche del contesto socio-economico locale influenzino lo sviluppo degli spin-off universitari e, quindi, a misurare l’impatto eventualmente prodotto dallo specifico territorio di appartenenza sulla nascita e la crescita di tali imprese. Inoltre, si proponeva di valutare il ruolo svolto da alcuni agenti facilitatori, quali business incubator e parchi scientifici, nel promuovere l’imprenditorialità accademica. In base ai risultati dell’analisi, da cui è emerso che in Italia operano circa 162 incubatori d’impresa (l’84,57% con natura pubblica, il 22,22% partecipato da istituti finanziari e il 73,46% partecipato da università), la prossimità geografica tra business facilitator e start-up accademiche non è una condizione sufficiente per garantire l’instaurarsi di relazioni in grado di contribuire efficacemente allo sviluppo degli spin-off universitari. La più ovvia conseguenza dell’inadeguatezza appena riferita è che tale supporto debba essere integrato e rafforzato, ad esempio devolvendo investimenti pubblici e privati alla ricerca e alla formazione di un capitale umano adeguato o promuovendo un ambiente culturale che stimoli la cooperazione tra università e impresa. L’incremento delle potenzialità sinergiche che nascono in un network aperto di competenze e risorse composite, infatti, è un fattore tra i più fondamentali per favorire l’innovazione e lo sviluppo sostenibile della realtà imprenditoriale locale. Coerentemente con quanto già riportato, la ricerca ha altresì evidenziato che, nei contesti in cui il fenomeno è più consolidato (vale a dire nelle regioni centro-settentrionali), le imprese spin-off riescono a conseguire performance economico-finanziarie più elevate rispetto a quelle che si registrano nei contesti strutturalmente e relativamente più deboli. Al riguardo, può essere utile tenere presente che, mentre nel Nord e nel Centro l’indicatore Return on Equity risulta mediamente positivo (rispettivamente del 12,10% e del 7,71%), nel Sud il medesimo indicatore registra valori medi negativi (-0,11%).
Concludendo, esistono molteplici e fondati elementi per affermare che, qualora gli spin-off universitari italiani venissero inseriti in un quadro di azioni di sostegno e sviluppo a medio e lungo termine, essi potrebbero agire come potenti activator nel territorio di inerenza e, conseguentemente, contribuire in misura sostanziale alla creazione di valore non solo per l’imprenditoria nelle sue specificità, ma anche per la società nel suo complesso.

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Nel composito tessuto dell’attuale società della conoscenza, l’istituzione universitaria si posiziona tra i più potenti interpreti e vettori sia per il concreto conseguimento di un progresso culturale globale, sia per l’effettivo raggiungimento di una crescita economica sostenibile. In linea con l’urgente pressione esercitata da numerose istanze di innovazione e rinnovamento, le tradizionali funzioni di didattica e ricerca del mondo accademico hanno proceduto a un’ampia articolazione e si sono definitivamente estese a quel fecondo insieme di attività e progettualità che, sotto la dizione di Terza missione, presiede l’importante intento di tradurre l’intelligenza teoretica e tecnologica maturata nell’ambito universitario in formulazioni adatte allo sviluppo della compagine civile e del complesso imprenditoriale. Mediante la Terza missione, dunque, l’Alta Formazione da una parte sostiene la valorizzazione della conoscenza e della tecnologia generate internamente, dall’altra si impegna a declinare il sapere così tesaurizzato nei modi più opportuni per coadiuvare la crescita sociale, culturale ed economica anche all’esterno dei propri confini.
L’opera di valorizzazione e trasferimento tecnologico svolta dalle università può esplicitarsi – in misura non esclusiva ma indubbiamente incisiva – attraverso la costituzione di spin-off, vale a dire imprese operanti in settori prevalentemente high-tech costituite da (almeno) un professore/ricercatore universitario o da un dottorando/contrattista/studente che abbia effettuato attività di ricerca pluriennale su un determinato tema, il quale diverrà l’oggetto di creazione dell’impresa stessa. Letteralmente, gli spin-off universitari sono imprese che gemmano da un’università; specificamente, nascono quando un gruppo di ricercatori si organizza in un’unità imprenditoriale con l’obiettivo di ottimizzare le competenze e i risultati provenienti dalle elaborazioni e dagli studi condotti all’interno dell’istituzione. Concretamente, tali fattispecie di impresa promuovono, attivano e alimentano tanto i processi di trasferimento tecnologico pubblico-privato, quanto i processi di innovazione industriale. Fattivamente, si configurano come le entità più dotate e convenienti per ideare e sperimentare i percorsi innovativi che emergono dall’applicazione diretta di tecnologie e conoscenze scientifiche. Queste ultime non devono necessariamente coincidere con quelle sviluppate in proprio, ma possono anche comprendere prodotti di ricerca provenienti dall’esterno e “incubati” internamente per consolidare la delicata fase di start-up e instaurare network relazionali ad ampio raggio con il tessuto imprenditoriale. In definitiva, le imprese spin-off, oltre a presentarsi tra i più talentuosi attori dell’attuale paradigma dell’Open Innovation, forniscono i più promettenti strumenti per dare espressione a forme ancora inedite di imprenditorialità innovativa.

In Italia, quello degli spin-off universitari è un fenomeno in rapida espansione e, non diversamente da quanto rilevabile nel restante panorama europeo, negli ultimi anni ha conosciuto un’ulteriore accelerazione: delle 1.102 imprese operative al 31 dicembre 2013, l’87,4% è stato impiantato dopo il 2003 (fonte: Netval, 2014). All’elevato tasso di costituzione deve aggiungersi quello altrettanto notevole della sopravvivenza, un’evidenza particolarmente utile per correggere in senso migliorativo le potenziali prospettive di sviluppo degli spin-off universitari. Va tuttavia segnalato che dal punto di vista della localizzazione geografica queste giovani realtà imprenditoriali non sono distribuite omogeneamente. L’istituzione di nuovi spin-off è maggiormente marcata in quei contesti – in primo luogo le regioni centro-settentrionali (49,3% nel Nord e 27% nel Centro) – dove la sperimentazione e lo sviluppo di tali tipologie di impresa sono stati cronologicamente precedenti. Che in Italia gli spin-off universitari rappresentino una realtà relativamente recente – soprattutto per il Centro-Sud – è anche testimoniato dal dato relativo all’età media di costituzione degli stessi, pari a circa 5 anni di vita. La rilevazione conferma l’osservazione esposta in precedenza in relazione alla recente e rapida diffusione delle imprese. Con riferimento ai principali settori di imprenditorialità economica, è stato messo in evidenza che, benché la maggior parte degli spin-off (26,8%) operi nel campo delle ICT, negli ultimi anni è andato ad accrescersi il peso delle imprese attive negli ambiti dei servizi per l’innovazione (17,2%), dell’energia e dell’ambiente (16,3%) e delle life sciences (15,8%). Il dato risulta suggestivo del forte orientamento degli spin-off universitari verso l’innovatività e l’high-tech (fonte: Netval, 2014).
Al fine di consentire una comprensione più approfondita delle dinamiche che governano lo sviluppo e la crescita degli spin-off universitari in Italia, si ritiene opportuno riportare la sintesi dei risultati di uno studio condotto su un campione di 405 imprese estratto dalla banca dati Netval (al 31 dicembre 2013). La ricerca era finalizzata a verificare se le caratteristiche del contesto socio-economico locale influenzino lo sviluppo degli spin-off universitari e, quindi, a misurare l’impatto eventualmente prodotto dallo specifico territorio di appartenenza sulla nascita e la crescita di tali imprese. Inoltre, si proponeva di valutare il ruolo svolto da alcuni agenti facilitatori, quali business incubator e parchi scientifici, nel promuovere l’imprenditorialità accademica. In base ai risultati dell’analisi, da cui è emerso che in Italia operano circa 162 incubatori d’impresa (l’84,57% con natura pubblica, il 22,22% partecipato da istituti finanziari e il 73,46% partecipato da università), la prossimità geografica tra business facilitator e start-up accademiche non è una condizione sufficiente per garantire l’instaurarsi di relazioni in grado di contribuire efficacemente allo sviluppo degli spin-off universitari. La più ovvia conseguenza dell’inadeguatezza appena riferita è che tale supporto debba essere integrato e rafforzato, ad esempio devolvendo investimenti pubblici e privati alla ricerca e alla formazione di un capitale umano adeguato o promuovendo un ambiente culturale che stimoli la cooperazione tra università e impresa. L’incremento delle potenzialità sinergiche che nascono in un network aperto di competenze e risorse composite, infatti, è un fattore tra i più fondamentali per favorire l’innovazione e lo sviluppo sostenibile della realtà imprenditoriale locale. Coerentemente con quanto già riportato, la ricerca ha altresì evidenziato che, nei contesti in cui il fenomeno è più consolidato (vale a dire nelle regioni centro-settentrionali), le imprese spin-off riescono a conseguire performance economico-finanziarie più elevate rispetto a quelle che si registrano nei contesti strutturalmente e relativamente più deboli. Al riguardo, può essere utile tenere presente che, mentre nel Nord e nel Centro l’indicatore Return on Equity risulta mediamente positivo (rispettivamente del 12,10% e del 7,71%), nel Sud il medesimo indicatore registra valori medi negativi (-0,11%).
Concludendo, esistono molteplici e fondati elementi per affermare che, qualora gli spin-off universitari italiani venissero inseriti in un quadro di azioni di sostegno e sviluppo a medio e lungo termine, essi potrebbero agire come potenti activator nel territorio di inerenza e, conseguentemente, contribuire in misura sostanziale alla creazione di valore non solo per l’imprenditoria nelle sue specificità, ma anche per la società nel suo complesso.

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