PESCARA – In occasione della Festa della Donna, Confassociazioni Abruzzo, configurazione territoriale di Confassociazioni ha realizzato un fucus sulla (dis)parità di genere dal punto di vista lavorativo, calato in particolare nella realtà degli agenti di commercio e in Abruzzo, ad opera di una dei Consiglieri di Confassociazioni Abruzzo, la Dott.ssa Federica Gregori.

Nella ricorrenza della festività dedicata a tutte le donne, la Dott.ssa Gregori fa notare che «a distanza di 73 anni, a tali principi non sono ancora state pienamente date soddisfazione e tutela, nonostante gli innumerevoli interventi normativi. L’evidenza maggiore di tale circostanza – prosegue la Consigliera – è sicuramente il gender pay gap – che riguarda le differenze salariali tra uomo e donne – così come il gender employement gap – ossia il divario occupazionale tra i generi – fenomeni fotografati chiaramente dall’ISTAT. Nel 2017, il differenziale retributivo uomo/donna è pari al 7,4%: i rapporti di lavoro che riguardano gli uomini registrano una retribuzione oraria mediana di 11,61 euro, superiore del 7,4% rispetto a quella delle donne (10,81 euro). La mentalità arcaica e patriarcale è talmente consolidata da non farci accorgere che il problema è molto più ampio e non riguarda solo le donne, ma l’intera collettività. La carenza del lavoro femminile, infatti, si ripercuote in perdite importanti di crescita economica e quindi, in definitiva, sull’intera società, che si trova a dover fare a meno di risorse preziose. La pandemia, infine, ha ulteriormente acuito tali tratti drammatici, evidenziando purtroppo un forte aumento dei casi di violenza domestica e la drastica uscita dal mercato del lavoro da parte delle donne, costrette a scegliere tra famiglia e lavoro a causa della storica insufficienza del sistema di welfare italiano, anch’essa esplosa a seguito della chiusura delle scuole. Secondo il Rapporto annuale sul mercato del lavoro 2020 – elaborato nell’ambito dell’accordo quadro tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISTAT, INPS, INAIL e ANPAL – è aumentato il divario di genere sul tasso di occupazione, che passa da 17,8 a 18,3 punti percentuali in favore degli uomini. Le donne risultano più penalizzate anche sul versante delle assunzioni: rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, segnalano un calo del 26,1% a fronte della diminuzione del 20,7% dei contratti attivati per gli uomini. Infine, nella composizione dei soggetti a maggior rischio di non rientro al lavoro si registra un’incidenza maggiore di donne (49% contro il 25% sul totale cassintegrati)».

Un dato significato riguarda la posizione delle donne all’interno della categoria degli agenti di commercio che è, ed è sempre stata, prettamente maschile. L’ultimo bilancio sociale della Fondazione Enasarco – ente di previdenza della categoria – evidenzia come i propri iscritti attivi siano costituiti per il 13,22% da donne e per il restante 86,78% da uomini. Un dato che è rimasto pressoché invariato nel periodo di tempo intercorrente tra il 2013 ed il 2019.

Altra considerazione: gli organi di vertice della suddetta cassa previdenziale sono sempre stati composti da uomini da 50 anni in su. All’interno del CDA eletto nel 2016 non c’è un nominativo femminile. Tale componente fa sì che il problema di genere nemmeno si ponga: se non si conosce una realtà, non si può affrontarla, né tantomeno risolverne i problemi. Le cose non vanno meglio se considerate dal punto di vista della distribuzione geografica. In questo ambito, la disparità di genere si pone con maggiore rilevanza nelle regioni del centro-sud.

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Nella ricorrenza della festività dedicata a tutte le donne, la Dott.ssa Gregori fa notare che «a distanza di 73 anni, a tali principi non sono ancora state pienamente date soddisfazione e tutela, nonostante gli innumerevoli interventi normativi. L’evidenza maggiore di tale circostanza – prosegue la Consigliera – è sicuramente il gender pay gap – che riguarda le differenze salariali tra uomo e donne – così come il gender employement gap – ossia il divario occupazionale tra i generi – fenomeni fotografati chiaramente dall’ISTAT. Nel 2017, il differenziale retributivo uomo/donna è pari al 7,4%: i rapporti di lavoro che riguardano gli uomini registrano una retribuzione oraria mediana di 11,61 euro, superiore del 7,4% rispetto a quella delle donne (10,81 euro). La mentalità arcaica e patriarcale è talmente consolidata da non farci accorgere che il problema è molto più ampio e non riguarda solo le donne, ma l’intera collettività. La carenza del lavoro femminile, infatti, si ripercuote in perdite importanti di crescita economica e quindi, in definitiva, sull’intera società, che si trova a dover fare a meno di risorse preziose. La pandemia, infine, ha ulteriormente acuito tali tratti drammatici, evidenziando purtroppo un forte aumento dei casi di violenza domestica e la drastica uscita dal mercato del lavoro da parte delle donne, costrette a scegliere tra famiglia e lavoro a causa della storica insufficienza del sistema di welfare italiano, anch’essa esplosa a seguito della chiusura delle scuole. Secondo il Rapporto annuale sul mercato del lavoro 2020 – elaborato nell’ambito dell’accordo quadro tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISTAT, INPS, INAIL e ANPAL – è aumentato il divario di genere sul tasso di occupazione, che passa da 17,8 a 18,3 punti percentuali in favore degli uomini. Le donne risultano più penalizzate anche sul versante delle assunzioni: rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, segnalano un calo del 26,1% a fronte della diminuzione del 20,7% dei contratti attivati per gli uomini. Infine, nella composizione dei soggetti a maggior rischio di non rientro al lavoro si registra un’incidenza maggiore di donne (49% contro il 25% sul totale cassintegrati)».

Un dato significato riguarda la posizione delle donne all’interno della categoria degli agenti di commercio che è, ed è sempre stata, prettamente maschile. L’ultimo bilancio sociale della Fondazione Enasarco – ente di previdenza della categoria – evidenzia come i propri iscritti attivi siano costituiti per il 13,22% da donne e per il restante 86,78% da uomini. Un dato che è rimasto pressoché invariato nel periodo di tempo intercorrente tra il 2013 ed il 2019.

Altra considerazione: gli organi di vertice della suddetta cassa previdenziale sono sempre stati composti da uomini da 50 anni in su. All’interno del CDA eletto nel 2016 non c’è un nominativo femminile. Tale componente fa sì che il problema di genere nemmeno si ponga: se non si conosce una realtà, non si può affrontarla, né tantomeno risolverne i problemi. Le cose non vanno meglio se considerate dal punto di vista della distribuzione geografica. In questo ambito, la disparità di genere si pone con maggiore rilevanza nelle regioni del centro-sud.

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